La giungla nel nord della Thailandia, nei pressi delle montagne del Doi Mod, è molto fitta. La luce fatica a filtrare tra i rami e il respiro si fa affannoso per la mancanza d’aria. Il fango, per l’altissima umidità, può essere molto scivoloso ed è necessario un bastone per camminare lungo gli impervi sentieri aperti con il machete. Ma per la popolazione Lahu tutto questo non ha mai rappresentato un ostacolo, anzi: per loro la giungla è un luogo sacro.
L’etnia Lahu, originaria dell’altopiano tibetano, è emigrata prima verso la provincia cinese dello Yunnan e poi alla fine dell’Ottocento si è diffusa in Myanmar, Laos, Vietnam e Thailandia. Tra le città di Chiang Mai e Chiang Rai si contano quasi 300 villaggi abitati da circa 70mila Lahu, che si dividono in cinque sotto gruppi, i cui nomi derivano dal colore dei vestiti tradizionali.
La lingua dei Lahu non ha una forma scritta e la loro principale attività oggi è l’agricoltura di sussistenza. Come le altre tribù del nord, i Lahu lavoravano nelle coltivazioni di papavero da oppio. Diventata una pratica illegale e fortemente osteggiata dal governo thailandese è stata sostituita dalla coltivazione di ortaggi e caffè, grazie anche al Royal Project for the Hill Tribes che promuove la diffusione dei prodotti nei mercati della regione.
Tra la densa vegetazione pluviale i Lahu si muovono silenziosamente, accompagnati dal fedele cane da caccia. Sulle spalle il sacco con qualche provvista. Il resto viene preso dalla giungla: con un bambù costruiscono tazze e stoviglie per il pranzo mentre dalle foglie di un grosso banano ricavano una stuoia. Per ringraziare gli spiriti della foresta, prima di mangiare, i cacciatori mettono un po’ di cibo su una piccola foglia e lo lasciano posato sul tronco di un albero. Oltre a cacciare con un vecchio fucile, i Lahu si dedicano anche alla raccolta di erbe medicinali, legna da ardere, larve, frutta secca e ghiande, da portare al villaggio.
Nella giungla i Lahu perpetrano antiche tradizioni e celebrano in questo modo il sacro rito dell’unione con la natura. Tutto ciò che circonda i Musoe, i cacciatori come vengono chiamati in Thailandia, è sacro secondo la loro antica dottrina animista-teista, per la quale l’esistenza di un dio supremo ha potere su tutto il creato.
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