A Sud di Nessun Nord (2019)
Le mie connessioni con il Veneto sono piuttosto remote.
È vero che mio nonno paterno Giacomo nacque a Dueville, Vicenza, ma da lì si spostò giovanissimo alla ricerca di un lavoro nella provincia di Varese. Io non l’ho mai conosciuto perché scomparve poco dopo la Seconda Guerra Mondiale.
La mia discendenza veneta è rimasta in qualche espressione gergale che mio padre ereditò dal suo, in qualche breve racconto e in rare fotografie.
Non è comunque la prima volta che mi trovo in questo territorio. I ricordi d’infanzia mi portano ad una vacanza con i miei genitori, estate dei primi anni ’90. Sembrava che qui ci fosse tutto per soddisfare le mie aspettative, quelle di mio padre e quelle di mia madre: Gardaland, il Monte Grappa, Venezia. Proprio qui ricevetti in regalo la mia prima macchina fotografica. Non saprei dire né la marca né il modello. Era una di quelle macchinette compatte interamente fatte di plastica con rullino 35mm. Tolta la macchina dalla confezione mio padre disse “bene così” e me la consegnò tra le mani. Il negoziante ci chiese se volessimo il libretto delle istruzioni “così per dare una letta”, ma no, secondo mio padre poteva funzionare anche senza.
Niente male come primo corso di fotografia e infatti il reportage della vacanza fu disastroso.
Sono passati una trentina di anni e mi trovo seduto nello spazio HEA di Castelfranco Veneto ad assistere al brief iniziale del workshop organizzato da Osservatorio Mobile Nord Est.
Mi colpisce molto il discorso di Matteo Melchiorre.
“Il Nord di questa regione sta sparendo”, oltre il Massiccio del Grappa, ci sono paesi di montagna abbandonati, completamente svuotati degli abitanti e riconquistati da quella natura alla quale erano stati sottratti. “Noi qui siamo nel Sud, nel modello di un Sud in costante espansione”, ma un Sud che non ha più il suo Nord come punto di riferimento geografico e culturale.
Mi viene subito alla mente una suggestione, “A Sud di Nessun Nord”, come dire “da qualche parte” o meglio “da nessuna parte”. È il titolo di una serie di racconti di Charles Bukowski, una collezione di ritratti americani densi della poetica di alienazione e di disillusione. Certo, sono sicuro che ci sia un riferimento letterario più calzante nella letteratura veneta, ma trovo questo parallelismo stimolante. Ci ragiono.
Spesso tendiamo a definire i personaggi descritti da Bukowski come dei perdenti, sconfitti dal sogno americano, come se fossero rimasti indietro, come gli ultimi. Io credo invece che è proprio per l’ostinazione di affermarsi in una situazione complessa, scomoda, e per la forza di adattarsi ai cambiamenti imposti dall’esterno e di andare avanti “comunque”, che rende questi personaggi i migliori esponenti del sogno americano.
Può essere questo spunto a guidare la mia ricerca?
Possiamo parlare di sogno veneto?
Sicuramente possiamo parlare di modello veneto, e, descrivendolo, Mariano Sartore racconta che qui lo Stato si è fatto da parte, disinteressandosi, lasciando agli abitanti del territorio una sorta di autoregolamentazione.
“Arrangiatevi” dice spesso nel suo discorso, e quindi sì, i veneti si sono orgogliosamente arrangiati, costruendo una delle regioni più produttive d’Italia, affermando se stessi e puntando molto forte sull’individualismo.
Questo è ciò che vado cercando nel mio percorso verso Nord, evocando una dimensione che talvolta può sembrare surreale, come sciare sull’asfalto, o fatta di stranezze, come una barca nel giardino, ma fatta anche dei consolidati rituali della domenica mattina, di paradossi, di lavori incompiuti, di radicamento al territorio, di siepi alte quanto muri di frontiera, di giganteschi cavalli di pietra, di provvisorietà che diventa definitiva, di voglia di emancipazione, di rivincita della provincia verso il centro, del Sud verso il Nord. Nessun Nord.
Progetto realizzato all'interno di:
Verso Nord
Workshop/Campagna fotografica con Guido Guidi e Gerry Johansson
Grazie a:
Massimo Sordi
Stefania Rössl
Spazio HEA
Otium Studio