Il Ruanda, per la sua conformazione territoriale, viene chiamato il paese delle mille colline. E uno tra i più piccoli paesi del continenti africano, con poco più di 25.000 kmq di superficie, ma registra una delle più alte densità di popolazione del continente. Sono passati 25 anni dal 6 aprile 1994, giorno dell’attentato all'aereo con a bordo i presidenti del Ruanda e del Burundi. Da quel momento e per 100 giorni su quelle stesse colline si consumò il terribile Genocidio dell’etnia Tutsi, sostenuto dai gruppi paramilitari di etnia Hutu muniti di armi da fuoco, di machete e bastoni chiodati. Le violenze si diffusero rapidamente in tutta la nazione, coordinate dalle trasmissioni della radio nazionale che invitava a schiacciare gli scarafaggi e ne suggeriva i luoghi dove erano nascosti.
Le milizie uccisero circa 800,000 persone tra Tutsi e Hutu moderati. Nel mese di luglio il Fronte Patriottico Ruandese guidato da Paul Kagame, Tutsi di diaspora ugandese, prese il controllo della nazione.
La crisi ruandese costò milioni di vite umane, circa il 70% del gruppo etnico Tutsi e il 20% della popolazione totale e causò due milioni di rifugiati fuori dal Ruanda e circa 1 milione e mezzo di persone sfollate all’interno del paese. Una prima grave emergenza post-genocidio è stata la questione delle migliaia di accusati di violenze, ancora in attesa di processo. Il governo del Ruanda ha ripristinato il sistema giudiziario tradizionale basato su giurie comunitarie. Durante i processi le corti comminavano sentenze più miti nel caso in cui l’accusato si dimostrava pentito e chiedeva perdono alla propria comunità, dando così possibilità alle vittime di apprendere la verità sulla morte dei propri familiari.
Questa situazione rappresenta in pieno l’unicità del caso ruandese, una nuova convivenza tra vittima e carnefice fondata sul perdono, sulla riconciliazione e sull’identità nazionale e non più etnica. La leadership dell’attuale presidente Paul Kagame, in carica dal 2000, ha favorito questo processo, promulgando una nuova costituzione basata sull’uguaglianza dei diritti e sul rifiuto dell’ideologia estrema su cui si fondò il movimento Hutu Power. D’altro canto però il governo Kagame ha subito molte critiche per la scarsa libertà di parola lasciata agli oppositori e la rigidità del sistema democratico. Nel 2017 ha vinto le elezioni con il 98% di preferenze cambiando la costituzione per poter essere rieletto per il terzo mandato consecutivo.
Un’ulteriore pressante emergenza è quella dei rifugiati. Di rientro dalla diaspora del secolo scorso o in fuga dai conflitti dei paesi confinati, i rifugiati sono stati accolti in campi o villaggi costruiti dal Governo in terreni incolti o improduttivi. Nel distretto di Nyagatare, dove sono stati costruiti molti villaggi di accoglienza, nel 2002 la popolazione era di 8,500 abitanti, mentre nel 2012 il numero è salito a 52,000.
La percezione che si ha del Ruanda ad oggi è quella di un paese stabile e sicuro. Il Governo ha inoltre attuato un taglio importante alla burocrazia e un miglioramento dell’amministrazione, dimostrandosi molto duro verso il fenomeno della corruzione. Questo ha favorito l’impresa e gli investimenti dall’estero. Tanto che da molti il Ruanda viene definito la Svizzera d’Africa, soprattuto dopo aver ospitato nel 2016 il World Economic Forum. Il Ruanda rimane un paese fragile, nonostante l’economia cresca, dai primi anni 2000, in media del 8% l’anno. Gran parte della popolazione, sopratutto nelle zone rurali, vive ancora sotto la soglia di povertà. La sfida del Governo di Kigali è quella di trasformare il sistema produttivo, legato all’agricoltura, in un’economia basata sulla conoscenza tecnica e costruita per fornire servizi, diventando un middle-income country entro il 2020.
Grazie a:
Gabriella Caldelari
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